Il Convento di San Bernardino al monte

Vicende storiche

Il convento dei padri Osservanti è la seconda comunità dei Frati minori presente ad Albenga, dopo quella dedicata a S.Francesco, fondata nel 1322, nel quartiere di S.Maria. Alla diffusione degli Osservanti nella Liguria di Ponente contribuì in modo decisivo la presenza oil passaggio di santi e beati dell’ordine. Tra questi vale ricordare su tutti il beato Battista Tagliacarne da Levanto. E lo stesso Bernardino da Siena la cui presenza ad Albenga è attestata per la Quaresima del 1431.

L’ubicazione della nuova fondazione in una zona extraurbana è dovuta proprio alla presenza di un altroconvento dei Frati Minori. La scelta è caduta così sulla zona di Vadino, lungo le pendici del monte di S.Martino, una zona appartata, anche per questo gradita agli Osservanti, che prediligevano luoghi solitari, favorevoli alla preghiera e alla meditazione. Ma nel contempo una zona vicina alla strada romana Iulia Augusta e comunque non molto distante dal centro urbano.

La costruzione dell’edificio, di cui non è noto il nome del progettista (forse un membro stesso dell’ordine) ha inizio nel 1467, partendo naturalmente dalla chiesa. Infatti le donazioni dei cittadini, specie di quelli che volevano farvisi seppellire avrebbero permesso la realizzazione dell’intero convento. La consacrazione della chiesa avvenne il 9 ottobre 1480. Anche il Comune di Albenga interviene a più riprese con finanziamenti che permetteranno di completare, tra l’altro, la cisterna (1471) e la infermeria (1479). Le modifiche e le aggiunte al convento tuttavia dureranno ancora a lungo, addirittura fino al sec. XVIII.

Nel 1708 viene ampliata l’ala settentrionale con la costruzione di due nuove stanze, nel 1780 vengono sopraelevate le sei stanze già presenti sempre nell’ala a monte e rifatta la copertura. Viene anche realizzata una nuova scala a doppia rampa all’esterno delle mura settentrionali per collegare i due piani.

Nel 1794, con l’arrivo delle truppe francesi, il convento viene adibito ad ospedale e caserma e i frati (pochi) sono costretti a trasferirsi a Lusignano. Due anni dopo, grazie alle grandi vittorie di Napoleone il fronte si allontanò da questa zona e poterono tornare trovando però la struttura in condizioni disastrose.

Con la caduta della Repubblica di Genova (1797) e l’avvento della Repubblica Democratica Ligurecomunità religiose furono soppresse e molti beni della chiesa furono incamerati per far fronte alla difficile situazione finanziaria dello stato. Quello di S.Bernardino fu l’unico convento maschile di Albenga a non essere chiuso. Ciò perché l’edificio era già di proprietà comunale, e i pochi beni che aveva erano amministrati da due consiglieri comunali, godeva di grandissima popolarità tra le persone e, grazie alla spezieria, prestava un servizio importante per la comunità.

Ma nel 1799 tornarono e le milizie francesi e il convento fu nuovamente adibito ad ospedale militare (il Comune dovette farsi carico di rimetterlo in sesto visto il degrado in cui si trovava).

I frati furono spostati in S.Domenico, entro le mura cittadine, ove rimasero fino al 1810, quando, dopo che la Liguria nel giugno 1805 era entrata a far parte direttamente dell’Impero francese, anche gli ultimi monasteri rimasti vennero chiusi.

Intanto S.Bernardino rimane abbandonato. Nel 1806, dopo l’editto di Saint-Cloud, le tombe nelle cappelle del lato sud vengono usate come pubbliche sepolture per un paio d’anni, e poi di nuovo dal 1813 al 1835.

I frati tornano nel 1827, ma quarant’anni dopo, il 1 gennaio 1867 se vanno definitivamente, a seguito delle leggi anticlericali del governo del Regno di Sardegna. Il complesso torna a Comune di Albenga e si fanno diverse ipotesi sul suo utilizzo, tutte scartate per assenza delle risorse finanziarie, mentre il degrado dell’edificio diventava insostenibile. Nel 1881 venne messo all’asta, che però andò deserta. L’anno dopo si decise di utilizzare parte della chiesa come carcere mandamentale e parte come palestra per le scuole. La chiesa fu così divisa in due parti con una parete.

Nel 1894 viene deciso di usare il convento come caserma del genio militare che doveva occuparsi dei vari forti che erano stati costruiti in quegli anni nella zona. I lavori durarono tre anni e produssero notevoli sconvolgimenti nel complesso.

Nel 1897 vi prese stanza la 2° brigata del 5° Reggimento Genio Minatori di Torino. Successivamente vi si insediarono reparti di artiglieria che rimasero fino al fatidico 8 settembre 1943

Nel 1897 il convento divenne sede della caserma del Genio Minatori e viene quindi ampliato con due nuovi corpi di fabbrica, uno a ponente, prolungando l’ala settentrionale ed uno a levante in sostituzione dell’antico lato est. I militari restarono fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Poi ci fu l’abbandono e il degrado.

Ad interessarsi per un possibile restauro del monumento fu soprattutto l’Istituto Internazionale di Studi Liguri e il suo direttore il prof. Nino Lamboglia. Nel 1961 il vano anteriore della chiesa viene restituito a uso religioso e nel 1964 Viene istituita la parrocchia.

Nel 1971, venne chiuso il carcere mandamentale ormai fatiscente, ed ebbero inizio i primi restauri, curati dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri. Poi a partire dagli anni ’80 a più riprese ci sono stati interventi sulla chiesa e sull’intero complesso.

Quindi il Comune decise di recuperarlo per uso scolastico, incaricando l’ing. Giampaolo Campodonico del progetto. I lavori iniziarono nel 1979 e si conclusero soltanto negli anni ’90. Nel 2000 interventi sul chiostro e risistemazione del sagrato con la realizzazione della tipica pavimentazione in acciottolato a “risseu”.


 

L'esterno

La chiesa di S.Bernardino di Albenga è certamente una delle più significative testimonianze artistiche del Quattrocento nella Riviera di Ponente. La struttura architettonica rappresenta una mediazione tra il gotico tradizionale e le nuove concezioni costruttive adottate dai Minori Osservanti nel corso del Quattrocento. Gli Osservanti predicavano il ritorno a materiali poveri ed umili, quindi si fa ricorso all’intonaco per la finitura delle pareti, sia all’interno che all’esterno, che però doveva durare molto a lungo, come la pietra, e quindi doveva essere di ottima fattura, con abbondante malta di calce spenta e sabbia ben pulita, steso con successive passate di spatola, per ottenere una finitura liscia e levigata.

La facciata presenta un semplice portale in pietra nera con architrave sormontato da un arco ogivale al cui interno si trova una lunetta dipinta con Madonna col bambino e santa Caterina al centro e i santi Francesco e Bernardino ai lati. Al di sopra un oculo circolare strombato. Le lesene angolari e gli archetti pensili sotto gli spioventi del tetto sono ancora di gusto tardo-gotico.Digusto invece già più moderno era la raggiera che contornava l’oculo (ancora visibile a fine Ottocento) e la lunetta.

In alcune antiche carte e vedute della città compare accanto alla chiesa una torre campanaria, ma è probabilmente frutto della fantasia dell’autore. Dagli studi risulta infatti soltanto un piccolo campanile a vela sull’abside (“sopra il coro a mezzogiorno con due campane le cui corde pendono nel coro”)

Davanti all’ingresso del convento era una loggetta esterna, a due campate, allo scopo di riparare l’accesso al convento, ma anche alla spezieria, e anche di dare riparo ai viandanti e ai poveri. La struttura fu abbattuta a fine Ottocento. Quando il convento divenne caserma del Genio militare, così come la spezieria. Al suo posto sorse il fabbricato a due piani tuttora esistente, destinato ad ospitare al piano terra il corpo di guardia e a quello superiore gli uffici del comando.

 

La Chiesa

All’interno è ancor più visibile l’imitazione di materiali lapidei nobili, in quanto tutti gli elementi strutturali sono ricoperti da decorazioni che imitano l’alternarsi dei conci di pietra bianca e nera.

La chiesa è collocata sul lato sud del convento con l’abside a occidente. L’impianto originario della chiesa prevedeva una netta separazione tra la parte anteriore destinata ai fedeli, con le cappelle devozionali solo sul lato sud, e quella posteriore dei frati con un profondo presbiterio, in cui si trovava il coro (davanti all’altare, come prassi prima del Concilio di Trento) e quindi la cappella maggiore. Ciò è testimoniato dalla presenza di due monofore nella prima parte (per agevolare la lettura di testi) e di una sola nella parte terminale. Nel 1585, dopo il Concilio di Trento) le due parti furono invertite, A separare le due parti era una bassa cortina in cui si apriva una porta, di cui resta testimonianza a fine sec. XVI (Mascardi).

I due vani del presbiterio hanno una copertura tipicamente gotica con volte a crociera (come i peducci sono ancora quelli originari) e presentano semplici chiavi di volte in pietra nera con la raffigurazione di una croce.

Solo sul fianco sud della navata unica (poichè su quello nord è il chiostro) si aprono le cappelle, secondo uno schema frequente nelle chiese degli Osservanti. Sono 4, di forma regolari, sorte insieme alla chiesa, peer evitare il proliferare disordinato delle cappelle che si era verificato in molte chiese nei secoli precedenti. Erano in origine vani separati, a pianta praticamente quadrata, coperti da volte. Sono stati unificati dalle trasformazioni ottocentesche. La quarta cappella, quella più vicina all’altare era dedicata proprio a S.Bernardino (o S.Francesco?) e della quale si occupavano direttamente i monaci. Era affrescata e della decorazione restano tracce sui pilastri (quattro santi, S.Caterina, S.Lucia e forse S.Ludovico di Tolosa e S.Bonaventura) e nell’sottarco.

Le altre cappelle erano quelle dell’Ascensione e dell’Assunzione della Vergine, entrambe imbiancate (“dealbate”), e quella dell’Annunciazione (forse della famiglia Marchese), quest’ultima era decorata (“picta”).

Nella chiesa sono presenti anche affreschi staccati della seconda metà del Quattrocento provenienti da S.Maria del Bossero presso Leca.

La pianta della chiesa rispetta dei rapporti geometrici ben precisi: l’aula principale è un doppio quadrato, le cappelle sono 4 quadrati il cui lato corrisponde ametà della luce della chiesa. Anche per quanto riguarda le dimensioni del coro, c’è un preciso rapporto tra profondità e larghezza (questa volta basato sulla radice di due).

Nei primi decenni dell’Ottocento le cappelle furono usate, almeno provvisoriamente, come cimitero (non essendovene altri in città) e fu innalzata una parete che le divideva dalla navata della chiesa che nel frattempo era stata riaffidata ai monaci, dopo il periodo napoleonico. Il nuovo cimitero fu creato nel 1835, ma le salme vi rimasero ancora per 50 anni.

 

L'affresco della parete nord

I fratelli Tommaso e Matteo Biazaci di Busca (CN) operarono nella seconda metà del Quattrocento tra Piemonte e Liguria: oltre ad Albenga al santuario di Montegrazie, a Piani di Imperia e anche nel Dianese.

L’affresco del Giudizio Universale sulla parete nord della chiesa è stato eseguito nel 1483. Misura m. 8,50 x 5.

Le scene sono divise in 4 registri sovrapposti. Dall’alto

1°registro

Paradiso con Cristo in mandorla, circondato da cherubini (ali azzurre) e serafini (ali rosse). Sotto la mandorla, a simboleggiare il dominio di Cristo sul mondo, è raffigurato il globo terrestre, sotto il quale ci sono i Santi innocenti. A destra sono tre schiere di santi, precedute da S.Giovanni Battista. A sinistra, in posizione simmetrica, tre schiere di religiosi precedute dalla Vergine Maria: Francescani (con S.Francesco e S.Bernardino); Domenicani; altri spiriti eletti. Tutti sono rivolti verso il Cristo, che giudica e accoglie i salvati nella Gerusalemme celeste, circondata e protetta da mura in pietra con torri cilindriche e merli guelfi. Sul lato destro un lago di fuoco purificatore accoglie le anime del Purgatorio (con angeli e il pane e il vino dell’Eucaristiua). Sulla scala che conduce al Paradiso sono riportati i 10 comandamenti. In fondo alla scala un angelo trae dalle fiamme un’anima purificata, mentre in cima S.Pietro ne accompagna un’altra verso la porta.

A sinistra invece, la sorte di chi non ha seguito la legge di Dio. L’arcangelo Michele, con spada e bilancia pesa le anime, mentre due angeli recano i libri con i nomi dei salvati. Il piatto della bilancia indicato con la lettera b è più in alto, perché le anime buone sono leggere, mentre quelle malvage portano il peso del peccato e per questo il piatto con la lettera m è molto più basso: l’uomo con il mantello rosso viene quindi ghermito da un demonio, mentre un angelo si asciuga le lacrime, e un altro demone con una carriola getta i dannati nell’Inferno. Sopra c’è il Limbo con la porta d’accesso, raffigurato come una specie di carcere, sorvegliato da un demone con un bastone.

2° registro

Serie dei sepulcra infernali, raffigurati come tetre spelonche rettangolari, in ognuna delle quali è punito uno dei sette vizi capitali, che sono riconoscibili grazie a delle scritte nei cartigli, solo in parte conservate, recanti anche il nome del diavolo.

Si comincia a sinistra con la superbia: si riconosce la testa cornuta di Lucifero. Tra i dannati, in alto a destra sono gli eretici.

Quindi il sepolcro dell’avarizia: i dannati sono infilzati da uno spiedo gigante.

Nei pressi del guasto pittorico provocato dal muro che divideva in due parti la chiesa, si trova quello della lussuria.

Quindi l’Invidia, con una grande ruota dentata manovrata da un diavolo: i peccatori all’interno sono trafitti dai raggi, mentre quelli all’esterno sono inchiodati. Durante il movimento della ruota i corpi lsono anche bruciati dalle fiamme sottostanti.

Il sepolcro della gola è andato perduto; probabilmente vi era una tavola imbandita con intorno i dannati legati e ingozzati dai demoni.

In quello dell’ira i dannati sono infilzati dai rami di un albero spoglio.

La serie è conclusa dall’accidia: i dannati sono dentro un grande pentolone (ci sono alcuni religiosi). Altri invece sono usati come legna da ardere sotto il pentolone. Altri ancorainvece sono immersi nel ghiaccio e vengono torturati e bastonati dai demoni.

3° registro

Nel terzo registro, di cui pochissimo è rimasto, si nota all’estrema sinistra il Leviatano, citato dalle Sacre Scritture, con le fauci spalancate, i denti aguzzi e gli occhi sbarrati, che sta per divorare i vizi capitali. Questi sono a cavalcioni di un animale, e i personaggi sono tutti legati da una catena attorno al collo, e dovevano seguire lo stesso ordine dei sepulcra soprastanti: superbia, il vizio peggiore, a cavalcioni di una leonessa. Dell’invidia rimane solo un brandello del cane, della gola il lupo. L’ira, il cui animale di riferimento doveva essere l’orso, è rappresentata da un personaggio che si trafigge il petto con la spada; l’accidia, assopita, si tiene ilcapo con le mani e probabilmente cavalca un asino (per tradizione un animale indolente).

Sul lato destro si vede della stoffa di colore azzurro: forse vi erano rappresentate le virtù.

La raffigurazione dei vizi e delle virtù fa parte della tradizione medievale diffusa in Francia ed in Piemonte.

4 registro (in basso)

La scena è di difficile comprensione a causa di quanto poco è rimasto. Si vede un diavolo che suona una cornamusa davanti ad una caserma in fiamme, un giovane vestito di rosso che suona il liuto, vicino reca una scritta stranamente in volgare medievale e non in latino.

Gli affreschi avevano uno scopo morale e didattico, con indubbiamente più spazio dedicato all’Inferno che al Paradiso. In quest’ultimo sembra regnare l’ordine e la serenità. Nel primo il caos e la violenza.

Dei fratelli Biazaci di Busca non si hanno molte notizie, ma oltre ad Albenga hanno operato a Montegrazie presso Imperia. Nell’affresco di S.Bernardino è pressochè impossibile distinguere la mano dei due fratelli, ma da altre opere apare Tommaso come il più dotato. Pur non raggiungendo i livelli di Giovanni Canavesio, appaiono comunque come artisti di buon livello, anche sul piano culturale.

Tommaso aveva eseguito affreschi anche nel presbiterio, ormai perduti.

Nel 1956 iniziò il recupero degli affreschi della parete nord.


 

Il convento - Il chiostro

La struttura del convento risente ovviamente della necessità di adattarsi alla particolarità del luogo e del declivio del monte S.Martino. Per questo la chiesa si trova sul lato sud.

Il complesso è disposto su due livelli: il primo quello della chiesa e del chiostro, il secondo sopraelevato di ca. 5,20 metri è quello della manica nord. Ci sono poi due locali sottostanti la sacrestia e il parlatorio.

Il convento di S,Bernardino aveva un solo chiostro, e non due come accadeva di solito, una scelta forse dettata dall’ampiezza e dalle caratteristiche dello spazio a disposizione. Il chiostro che oggi è conservato solo su due lati (sud e ovest), si sviluppava anche sul lato nord e si addossava diretamente alla roccia della collina, che era stata tagliata. Esisteva ancora a metà del Settecento (ma non nel 1832). Fu abbattuto nei primi decenni del XIX secolo per aumentare lo spazio ad uso militare. L’impronta è stata ritrovata durante i restauri del 1971. Le colonne del chiostro, ottagonali, sono in laterizio. Quando l’edificio fu adibito a caserma vennero rese circolari. Poi sono state restaurate nel 1971. E’ da escludersi che ci fosse anche su quello est. Su quest’ultimo lato esisteva invece un’ala del convento, costituita da un unico vano destinato a laboratorio e magazzino della spezieria (farmacia) Tale lato fu abbattuto nel 1895 in occasione della trasformazione in caserma. Sopra i lati del chiostro e sulla spezieria correva ed in parte esiste ancora oggi un terrazzo all’incirca complanare al primo piano del convento, accessibili da diversi punti del dormitorio.

Da notare le aperture, rimesse in luce durante le varie fasi dei restauri: le più antiche sono strette, quelle della ristrutturazione setecentesca ad arco ribasssato, e quelle più ampie dell’Ottocento.

Il lato più importante del chiostro era quello ovest, perché metteva in contatto la chiesa, coro e sacrestia, con gli altri spazi monastici e, tramite una scala a nordovest, con il soprastante dormitorio.

Dopo la destinazione del convento a caserma (intitolata a G.Garibaldi) questa zona fu notevolmente trasformata per ircavarvi locali per magazzini, cucine, mense degli ufficiali.

Nell’angolo sudovest ancora oggi si trova la sacrestia, a cui si accedeva dal coro della chiesa attraversando un corridoio che costituisce un prolungamento del ramo ovest del chiostro. La sacrestia è un vano con volte a crociere nervate, sostenute da rozzi peducci.

Il vano adiacente, a pianta quadrata, doveva essere il parlatorio, filtro tra la clausura e il mondo esterno. Era un locale importante: lo testimoniano la presenza dello stemma della città sopra l’ingresso (il convento era di proprietà comunale).

Al centro del lato ovest il vano più ampio era quasi certamente il refettorio, che al’occorrenza poteva essere usato anche come sala capitolare. Disponeva di due ampie finestre ad ovest.

E’ arricchito dalla presenza sulla parete a sud, della affresco raffigurante il Crocifisso con MariaAddolorata e la Maddalena, e i santi Giovanni Evangelista, Francesco e Bernardino, opera di Giovanni Canavesio. Una parte dell’affresco è stata distrutta dall’apertura di una porta, successivamente tamponata. La figura della maddalena, ai piedi ella croce, è quasi completamente scomparsa, così come sono stati gravemente danneggiati i volti degli altri santi.

Giovanni Canavesio, nativo di Pinerolo, ha operata ad Albenga tra nella seconda metà del ‘400, dove ha dipinto un’analogo soggetto nella Loggia Comunale nel 1477.

A nord del refettorio uno stretto andito in cui doveva trovarsi un lavabo, quindi un vano quadrato corrispondente alla cucina ed uno successivo, probabilmente la dispensa. La cucina fu poi ridimensionata per migliorare il collegamento con la scala di accesso al piano soprastante.

Una ripida scala tra refettorio e parlatorio portava a due locali sottostanti, da identificare come la cantina e la legnaia.

Tutti i locali di questo lato presentano delle coperture voltate, funzionali alla presenza di un piano soprastante da sempe adibito a dormitorio.

Alle spalle del convento su questo lato si estendeva l’orto.


 

Il convento - Il primo piano

Nell’ala ovest, in fondo al corridoio a sudest era l’infermeria, con una piccola cappella (edificata nel 1645) a contatto con l’abside della chiesa. Attraverso delle aperture i monaci anziani, ammalati o comunque con problemi di deambulazione, potevano assistere alle funzioni che si svolgevano nella chiesa.

Il grande vano nel’angolo sudovest era la biblioteca (in seguito alla diffusione della stampa anche i conventi dei frati minori si dotano di biblioteche). La collocazione permetteva un migliore soleggiamento e favoriva letture e scrittura.

Su questo lato le celle sono disposte su due lati separati da un corridoio centrale, con brevi corridoi trasversali dalle cui finestre prendevano luce. Il dormitorio che vediamo oggi non è originario, che doveva essere molto più spartano, ma è il risultato di rimodernamento effettuato intorno alla metà del Seicento. Le camere infatti furono ampliate e dotate di una finta volta. A questi interventi risalgono le tracce di decorazioni pittoriche ancora oggi visibili: cartigli con figure di santi e martiri francescani. Sono riemersi in occasioni dei restauri degli anni ‘80/’90.

Dopo la trasformazione in caserma a fine Ottocento, le celle dei monaci divennero le stanze per ufficiali e sottufficiali.

Nella manica settentrionale erano presenti sei celle di dimensioni maggiori, solo sul lato sud, mentre su quello nord era il corridoio. Nel 1708 furono aggiunte due stanze sulla testata ad est.

Nel 1781 questo lato venne sopraelevato con un secondo piano raggiungibile da una scala a due rampe posta sul fronte nord in corrispondenza di quella cha saliva dal piano terra, all’inizio del corridoio. Il nuovo piano era strutturato come quello sottostante.

Questa distribuzione era funzionale all’esposizione solare: infatti il corpo ovest prende luce da due lati, mentre quello nord soltanto da uno.

Nel 1897 l’ala nord viene prolungata con la costruzione di un nuovo corpo di fabbrica in direzione ovest, anch’esso su due piani, così da avere complessivamente 21 camerate con i servizi. Vi presero posto 4 compagnie con 12 ufficiali e 180 uomini.